mercoledì 1 agosto 2012

DON MATTEO LAMANNA

SPECIALE DEDICATO AL MISSIONARIO APOSTOLICO
DON MATTEO LAMANNA
NEL 240° ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE
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Introduzione
Il 25 agosto di quest’anno ricorre il 240° anniversario del passaggio a miglior vita di Don Matteo Lamanna, fondatore della Congregazione dei “Sacerdoti Missionari figli di Maria Santissima” e del complesso monumentale del Ritiro di Mesoraca (Crotone), considerato l’esempio più valido del Tardo Barocco in Calabria e tra i più interessanti di tutto il Mezzogiorno.
Don Matteo Lamanna - così come scrive il Biblista Don Serafino Parisi nella prefazione dell’opera Don Matteo Lamanna e i suoi Sacerdoti Missionari nella Calabria del Settecento (S. Cropanese, Ed. Progetto 2000)- può essere considerato come un “antesignano del cosiddetto cristianesimo sociale, non solo perché ha accolto dei ragazzi per acculturarli e renderli liberi e responsabili, capaci di intervenire concretamente, cristianamente formati, nell’agone socio-politico del tempo, ma perché ha compreso, e si è impegnato per questo, che l’orizzonte della vita spirituale e dell’impegno culturale è precisamente la santità”.


La vita
Matteo Lamanna nacque a Mesoraca nell’anno 1710, da nobili ed illustri genitori.
Il papà, Giovanni Domenico, nato nel 1685 era Dottor Fisico; della mamma, purtroppo, sappiamo solamente che proveniva dalla famiglia Rossi, dalla quale nacquero anche importanti notai, tra i quali Gioacchino Rossi che, nel 1761, ebbe l’onore di redigere l’atto inerente la posa della prima pietra della Chiesa monumentale del Ritiro.
Il resto della famiglia di Matteo Lamanna era composto, in base a  quanto riportato dallo stato di famiglia del 1746, da quattro fratelli (Tommaso, Pietro Paolo, Antonio, Nunziato) e da due sorelle (Teresa e Rosa).
Il suo primo maestro locale, Don Giovanni Fiorino, attestò di suo pugno che non passava giorno senza che rimanesse edificato per le doti morali e intellettuali del giovane Matteo.
Ancora trilustre, venne accompagnato dal padre a Napoli dove conseguì, all’età di 23 anni, la laurea in Legge e quella in Teologia, come alunno esterno nel collegio dei Gesuiti.
Il 9 giugno 1733, venne ordinato sacerdote dall’Arcivescovo Luigi D’Alessandro, nella Cattedrale di Santa Severina.
Dopo aver trascorso i primi anni, come insegnante di teologia nel seminario diocesano e come confessore missionario in tutta l’Arcidiocesi di Santa Severina, ottenne l’autorizzazione di potersi recare a Mesoraca dove svolse l’incarico di procuratore del “pio monte dei morti”, presso la Chiesa dell’Annunziata, e iniziò a concretizzare il progetto riguardante la fondazione di una Congregazione di sacerdoti, approvata dall’Arcivescovo di Santa Severina, Nicola Carmine Falcone, con bolla del 18 settembre 1748, e l’edificazione del complesso monumentale.
Tra il terzo e il quarto decennio del Settecento, Don Matteo riuscì a consolidare ottimi rapporti con vari ordini religiosi. Infatti, il 16 aprile del 1735, il Generale dell’Ordine dei Carmelitani, Ludovico Benzoni, gli concesse l’autorizzazione di poter imporre l’abito dello Scapolare della Madonna del Carmelo; con la bolla del 9 maggio 1741, dal Priore Generale dell’Ordine Agostiniano Felice Leoni, ottenne l’autorizzazione di poter costituire, all’interno dell’Oratorio dell’Addolorata, la Confraternita dei cinturati e delle cinturate di Sant’Agostino e Santa Monica e di esserne Cappellano, in quanto Rettore, estendendo tale diritto anche ai suoi successori Rettori del Ritiro in perpetuum.
Don Matteo Lamanna era divenuto un punto di riferimento importante per le popolazioni delle Calabrie, specialmente in quelle città dove venne conosciuto ed ammirato per il suo zelo e per le sue virtù. Ben presto si diffuse la notizia che Egli aveva incominciato ad edificare un Ritiro, allo scopo di aggregare sacerdoti e provvedere alla formazione spirituale ed intellettuale dei giovani. Furono, allora, tantissimi i sacerdoti ed i fanciulli calabresi che si aggregarono a Don Matteo Lamanna.
Nel 1755, il Missionario Apostolico, dopo aver edificato l’Oratorio dedicato all’Addolorata, inaugurato il 28 luglio 1742, e ampliato la Pia Casa con reale autorizzazione del 15 luglio 1752, a firma del Marchese Brancone, Preside ed Uditore di Catanzaro, iniziò ad ideare il progetto per la costruzione di un nuovo e più spazioso edificio sacro, quello conosciuto come Chiesa del Ritiro dei Sacerdoti Missionari, dedicata alla tutela della Madonna Assunta in Cielo.
Nel Comune di Mesoraca, in quel periodo, erano già esistenti alcuni conventi. Tra questi, quello dell’Ecce Homo, retto dai Francescani Minori; quello retto dai Francescani Cappuccini (attuale Chiesa del Cimitero); quello di Sant’Angelo in Frigillo e quello dei Padri Domenicani, posto piuttosto vicino al costruendo Ritiro. Probabilmente spinti da una forte gelosia, alcuni religiosi, come il Domenicano Padre Gentili, fecero ricorso al Re, accusando ingiustamente Don Matteo Lamanna, il quale così replicò : “Compiacetevi, Signor Governatore, indagare bene sull’utilità dell’opera erigenda e riferite a Sua Maestà quanto vi risulterà. Certo, ciò che io faccio non è per soddisfare un mio sentimento di vanità ma, invece, è diretto alla gloria di Dio, al bene del Paese, all’onore della Calabria nostra. Oneste e morali, quindi, sono le mie intenzioni”.
Il Governatore, Carmine Accettura, fatte le dovute indagini, rivelò che l’opera era davvero eminentemente ammirata e desiderata da tutto il popolo calabrese, e lo fece sapere al Re, Carlo III di Borbone delle Due Sicilie, il quale approvò pienamente le asserzioni del Governatore.
Regola Don Matteo Lamanna
Nella Quaresima del 1760 Don Matteo, zelante predicatore non solo nelle Calabrie ma in tutto il Regno delle Due Sicilie, fu chiamato a predicare dall’Arcivescovo di Rossano, Stanislao Poliastri. Proprio al Presule (committente, nel 1752, del bellissimo pulpito marmoreo che, ancora oggi, si può ammirare nella Cattedrale di Rossano) Don Matteo illustrò il suo progetto e rivelò quanti ostacoli dovette superare nel corso del trascorso lustro. L’Arcivescovo Poliastri, allora, non esitò ad esortarlo con una frase che rimase celebre nella storia del Ritiro: “Padre, appena ritornerà a Mesoraca, metta pure mano all’opera e lasci che il demonio e i suoi seguaci si mordano le labbra”, e così fu. Il 28 luglio dell’anno successivo, infatti, avvenne il rito della posa della prima pietra della Chiesa del Ritiro, i cui lavori terminarono il 25 luglio 1767. Gli anni compresi tra il ’67 e il ’72 furono necessari per decorare il sacro edificio con gli stucchi, le opere pittoriche, lignee e marmoree, per le cui realizzazioni vennero reperiti i migliori artisti operanti nel Regno.
Regola Don Matteo Lamanna
Il 6 agosto, in coincidenza con l’inizio della novena in onore della Madonna Assunta, la Chiesa del Ritiro venne finalmente aperta al culto, alla presenza di tutto il popolo che era in Mesoraca, del clero diocesano di Santa Severina, dell’Arcivescovo Metropolita Antonio Ganini (1710- 1795) e del Principe Sannini di Catanzaro il quale, sulla porta maggiore del sacro tempio, non trovò occasione più propizia per esaltare giustamente l’operato di Don Matteo Lamanna con il seguente discorso celebrativo e inaugurale: “O voi cittadini di Mesoraca, con molta ragione potete vantarvi di venerare un tempio che è celebre per la magnificenza della sua architettura, per le sue immense ricchezze e per i privilegi concessi dal Sommo Pontefice e confermati dal nostro Sovrano. Riguardatatelo come una probativa, ove attingerete le grazie più elette; riguardatelo come un emporio di Paradiso, ove mi sembra che il Figlio di Dio abbia stabilito il suo trono e la sua presenza. O cittadini, innalzate a Dio un inno di ringraziamento, poiché questa vostra patria è stata innalzata ad un alto grado di civiltà per il Divino Culto e per l’insegnamento della gioventù. Opera tutta di questo Reverendissimo Signor mio Padre Don Matteo Lamanna, che fin dal suo nascere è stato ed è la gloria del vostro cuore, il respiro della vostra vita, l’onore e la gloria di questo comune e di Calabria tutta. O avventurata patria del Reazio, io ti auguro i migliori destini, poiché tu stai tanto in alto, a preferenza di tanti altri popoli della Magna Grecia, per antichità, per valore e per dottrina. O Dio, benedici questo santo luogo e fa che questo augusto tempio sia eternamente venerato dai fedeli e santificato dalla pietà di questi Reverendissimi Padri che, con tanto zelo, lo custodiscono. Spargi le tue celesti benedizioni sopra questa grande opera dell’illustre Fondatore Lamanna, alla cui tutela e grande zelo è affidata la studiosa gioventù, di cui sono rimasto pienamente soddisfatto per l’insegnamento, affinché con la scienza, con la pietà e l’esempio possa rendergli di vantaggio a se stessi e di utilità alla Patria”. Il pio fondatore, già gravemente ammalato, con gli occhi pieni di pianto, esclamò: “Oh! Chiesa santa del Signore, tutte le gioie che oggi ci dai, verrà pure un giorno che si convertiranno in dolore e pianto perché ti spoglieranno dei beni che, con sacrifici, ti ho acquistato, per distruggerti; ma tu, soffrirai ma non cadrai!”.
Due giorni dopo l’inaugurazione del sacro Ritiro, Don Matteo si ammalò ulteriormente. Egli, infatti, soffriva di bronco polmonite, causata dai lunghi viaggi effettuati a dorso del suo mulo, durante l’inverno, in tutte le Diocesi delle Calabrie, con solo il Crocifisso sulle spalle.
Nella Quaresima dello stesso anno, infatti, venne chiamato a predicare dal Vescovo di Mileto e lì si recò contro la volontà e i consigli dei confratelli ai quali disse: “Il Signore mi chiama e vado, tanto più che per me sono le ultime prediche che vado a fare”. Da Mileto, però, rientrò nella Pia Casa del Ritiro più stanco e ammalato di prima.
Il 14 agosto, mentre i confratelli attendevano che la sua anima ritornasse alla Patria Divina egli esclamò con pianissimo tono di voce: “Andate! Festeggiate la Madonna, perché io morirò dopo l’ottava della sua festa”. Infatti, alle 2 meno un quarto p. m. di martedì 25 agosto, dieci giorni dopo la festa dell’Assunzione, avendo ricevuto per l’ultima volta il santissimo Corpo e il preziosissimo Sangue di Cristo, passò a miglior vita, dopo 62 anni consumati per la salvezza delle anime e per l’annuncio del santo Vangelo. La sua salma, dopo un’esposizione pubblica di ben tre giorni, durante i quali vennero celebrate ben 300 Messe, venne tumulata nella Cripta del Sacro Ritiro.
Al più illustre sacerdote della storia dell’Arcidiocesi di Santa Severina, in quanto fondatore dell’unica Congregazione diocesana mai esistita, venne rivolto un commovente elogio funebre dal primo sacerdote formatosi nella scuola del Ritiro, Padre Raimondo de Novellis, nato a Santa Severina nel 1733, anno in cui, nella medesima città, Don Matteo veniva ordinato presbitero dall’Arcivescovo Luigi D’Alessandro: “Oh! Massimo Sacerdote, oh! Gran nunzio della Parola di Dio, oh! Apostolo delle Calabrie, oh! Esemplare di ogni virtù. Ci hai lasciato orfani senza padre, peregrini senza guida, dubbiosi senza consiglio, afflitti senza conforto, poveri senza sollievo. Oh! Padre santo, ora che sei nel cielo, ricordati di noi poveri figli tuoi; prega per questa tua casa, prega per questa tua chiesa e fa che il tuo spirito aleggi per secoli su di essa”.
La figura di questo sacerdote è, ancora oggi, molto venerata e varie sono le persone che hanno attestato di aver ricevuto grazie da Dio per intercessione di Don Matteo Lamanna.
Anche nel corso della sua vita terrena, sono stati tanti i prodigi e gli avvenimenti da lui operati. Anche Don Gerardo Le Rose (ultimo congregato dei “Sacerdoti Missionari”) scrisse molto su questo aspetto. E’ opportuno, ad esempio, citare ciò che avvenne a Belcastro nell’anno 1753 quando, il Vicario Apostolico Don Francesco Gentinelli, terrorizzato dai disordini di quel borgo, decise di chiedere l’aiuto di Don Matteo Lamanna. Egli, sempre con il buon esempio e la predicazione, riuscì a riportare la tranquillità in quella città. Dopo i fatti di Belcastro, Don Matteo venne convocato dall’Arcivescovo di Cosenza, durante il periodo quaresimale. Il Presule gli offrì immediatamente alte cariche e privilegi che Don Matteo, categoricamente, rifiutò. Anche nella città bruzia seminò pace ed amore, al punto da far convertire una donna che, da molti anni, dava scandalo: la mise nella condizione di piangere pubblicamente e detestare la pessima vita che conduceva. Dopo ciò, la convinse a rinchiudersi in un monastero di quella stessa città dove, dopo circa quattro anni vissuti nella vera penitenza, morì con segni di predestinazione.
La vita di Don Matteo Lamanna si armonizza bene con quella di tre figure importanti della storia della Chiesa: frà Girolamo Savonarola, San Filippo Neri e Sant’Ignazio di Loyola. Ad ognuna di queste tre figure è legata, per certi versi, la vita del venerato sacerdote calabrese del Settecento. Con frà Girolamo Savonarola, il cosiddetto “santo-contestatore”, c’è in comune l’intercessione per la guarigione di una malattia grave con fortissime coliche: quella riguardante il Savonarola avvenne il 23 maggio 1540; quella di Don Matteo, invece, nel 1986, nel nosocomio di Crotone. Con San Filippo Neri, che tenne profondamente conto della testimonianza savonaroliana, ci sono vari legami come, ad esempio, l’aver ricevuto ambedue il dono delle lacrime di penitenza e di aver predetto il giorno della loro morte. Con Sant’Ignazio, infine, vi è in comune la finalità della fondazione delle rispettive congregazioni: la predicazione, la confessione, l’insegnamento ai giovani e lo studio.


La Regola
La figura di Don Matteo Lamanna è nota soprattutto per l’edificazione del meraviglioso complesso monumentale del Ritiro, nel quale risalta la splendida cupola ottagonale in cui sono stati dipinti ben 125 personaggi, tratti dall’antico e dal nuovo testamento, nonché dalla storia ecclesiastica.
Però, il vero tesoro che Don Matteo ha lasciato alla Chiesa, ovviamente assieme alla predicazione e alla sua testimonianza terrena, è la Regola per i “Sacerdoti Missionari”, composta nell’anno 1752, a distanza di quattro anni dall’autorizzazione arcivescovile, avvenuta il 18 settembre 1748.
La Regola di Don Matteo Lamanna è suddivisa in 21 punti e 16 capitoli. La prima parte, ispirata alla spiritualità dei Santi Ignazio di Loyola e Filippo Neri, è dedicata all’aspetto spirituale, morale, culturale e formativo dei congregati.
La seconda parte, invece, è incentrata sull’organizzazione istituzionale della congregazione.
I “seguaci” di Don Matteo Lamanna, dal popolo denominati “Ritiranti”, proprio perché vivevano nel Ritiro, facevano i voti di povertà, castità, ubbidienza, permanenza in congregazione e missioni popolari.
La vita dei Padri del Ritiro era, così come desiderava Don Matteo, completamente sacrificata a Dio e alla salvezza delle anime. La sveglia era fissata all’alba quando il “Ministro dello sveglio” si accingeva a “dar voce” al campanello maggiore, offrendo ad ognuno un quarto d’ora di tempo per vestirsi e lavarsi, dopo di che si facevano due ore di preghiera mentale comunitaria e la Messa mattutina.
Fino a mezzogiorno, i Padri avevano tre possibilità: pregare nel coro, santificare anime nel confessionale o studiare nella propria camera.
Prima di pranzo ci si riuniva con il Direttore di Spirito per la lezione spirituale e, dopo aver pranzato, si faceva una visita al Santissimo Sacramento, come pure per un’ora dopo il Vespro e per un quarto d’ora dopo la cena.
Si poteva uscire dalla Pia Casa, previo permesso del Rettore, solamente tre volta a settimana.
Ogni giorno, oltre a seguire le lezioni, si doveva studiare minimo due ore. Questo, però, non valeva per i giovani del primo anno i quali, tralasciando gli studi letterari, dovevano dedicarsi solo all’acquisto della scienza dei Santi. Alla fine dei primi tre anni, detti di “noviziato”, durante i quali non si poteva nemmeno dormire nemmeno sotto le lenzuola, i congregati facevano i suddetti cinque voti. Ogni settimana erano previsti tre digiuni, “per svegliare lo Spirito”, ed ogni festa della Madonna doveva essere preceduta da sette giorni di digiuno.
Ogni settimana, per un giorno, ognuno doveva ritirarsi spiritualmente, così come per dieci giorni all’anno. L’età minima d’incardinazione era di 18 anni e quella massima 45.
Don Serafino Parisi scrive che la Regola di Don Matteo Lamanna è  “un compendio di teologia spirituale e pastorale insieme”. “Don Matteo Lamanna propone un vero e proprio testo di spiritualità, un condensato di esperienza ascetica e di pratica pastorale”. “Nella Regola è possibile leggere la consapevolezza dell’urgenza, da una parte, di un’adeguata formazione letteraria e teologica per leggere i segni dei tempi, decodificare i dati culturali ed intervenire nelle attese della società del tempo e, dall’altra parte, della responsabilità di interagire con competenza  e solida formazione con le sfide di allora, proponendo modelli di santità e parametri di esistenza mutuati - operate le opportune mediazioni culturali – dal Vangelo.
Nella Regola di Don Matteo Lamanna, dunque, c’è un intreccio virtuoso tra lo studio, la preghiera e l’azione pastorale. “Assai significativa è la raccomandazione - non priva di consigli pratici - sul sacramento della Confessione. Insieme ai suggerimenti su come comportarsi con i vari tipi di penitenti, viene detto di dedicare dei momenti fissi durante la giornata per le confessioni. Mi sembra di intuire che il tempo da offrire a coloro che hanno la necessità di accostarsi al sacramento della Riconciliazione deve essere pianificato, al mattino e alla sera, come se si trattasse dello stesso impegno quotidiano della celebrazione dell’Eucaristia”.
“Una nota finale - riflettendo sulla Regola - va fatta sul forte sentimento mariano. La forza della sua fede, la dedicazione del suo sostegno, l’amabilità della sua intercessione sono le note caratteristiche di una grande passione per Maria che ordisce, come in filigrana, tutte le pagine della Regola che si delinea come un grande trattato che oggi possiamo prendere tra le mani per meditare”.
Allora, speriamo ma soprattutto prodighiamoci con lo studio e la preghiera affinché la mente, la voce e la mano di questo straordinario Missionario Apostolico del Settecento non vadano perdute ma, al fine di glorificare la Santissima Trinità, possano essere sempre più riscoperte e valorizzate.
Stefano Cropanese


PREGHIERA
Lode alla Trinità altissima e vicina,
teoria della vita intima di Dio,
unica sostanza divina in tre persone:
amore vicendevole e pieno, modello di comunione,
forma della pratica della carità.
Tu sei, o Dio, tre volte santo;
tu sei armonia, verità e bellezza:
rendici capaci di edificare la chiesa,
sulle stabili fondamenta delle fede aperta alla speranza,
con la grandezza fragile delle pietre viventi,
perché nel mondo sia visibile il segno della tua presenza.
Ad imitazione di don Matteo Lamanna –
ministro della Parola di salvezza,
servitori dei poveri e degli emarginati,
testimone di una spiritualità incarnata nella storia
e orientata alla promozione umana,
modello di sacerdote fedele a Dio e aperto all’uomo -
noi ci rivolgiamo a te, Padre e Figlio e Spirito santo,
perché tu possa trasformare la nostra vita
plasmandola con la tua Parola eterna
e, sostenuti dalla tua benevolenza misericordiosa,
poter raggiungere ogni uomo in ricerca o in attesa,
cosicché possa scaturire da tutta l’umanità,
e risplendere, la verità che in essa risiede
e che dall’eternità tu hai posto nella carne umana
come seme fecondo che vuole portare nella storia
frutti di libertà, di gioia e di condivisione.
Venga, Signore, il tuo Regno
di giustizia, pace e carità.
Amen

(Don Serafino Parisi – 25 agosto 2010)

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